Uno studio internazionale ha indagato le cause di morte di 45 specie di uccelli migratori lungo le rotte afro-eurasiatiche, rivelando un quadro preoccupante: quasi il 40% delle morti è attribuibile all’azione dell’uomo.
Cicogne, nibbi, capovaccai, gru e grifoni sono solo alcune delle 45 specie di uccelli migratori oggetto di questo studio, condotto con l’obiettivo di individuare le principali cause di morte lungo le rotte africane ed eurasiatiche.
Per ottenere questo risultato lo studio ha sfruttato il tracciamento satellitare: una tecnica che permette di seguire con grande precisione gli spostamenti degli animali dotati di trasmittente, individuando anche le circostanze delle loro morti.
Ciò che rende questa indagine particolarmente significativa è la sua ampia portata: un campione di 1704 casi di morte avvenuti nel corso di 18 anni – dal 2003 al 2021 – in 91 paesi. Un vasto dataset che ha consentito agli studiosi di individuare schemi e tendenze nel tempo e nello spazio, fornendo così preziose informazioni sulla mortalità degli uccelli migratori. Anche Rewilding Apennines e il Reparto Carabinieri Biodiversità di Castel di Sangro hanno contribuito fornendo i dati del monitoraggio sulla popolazione di grifoni in Appennino centrale.
I risultati hanno gettato luce su una triste realtà: la mortalità degli uccelli migratori lungo le rotte afro-eurasiatiche è in larga parte dovuta all’azione dell’uomo. Parliamo del 37% dei casi: quasi il doppio (1,6) rispetto alle cause naturali di mortalità. In testa elettrocuzione, uccisioni illegali e avvelenamento, responsabili rispettivamente del 40,5%, del 21,7% e del 16,3% di tutte le morti indotte dall’uomo.
Ma perché è così importante indagare le cause di morte?
Comprendere quali specie muoiono più frequentemente, perché e dove è senz’altro un prezioso aiuto per sviluppare strategie di conservazione mirate.
Ciò che emerge con chiarezza dallo studio è il ruolo significativo delle infrastrutture energetiche. La mortalità combinata legata a queste infrastrutture – cioè elettrocuzione, urti contro turbine eoliche e contro le linee elettriche – rappresenta addirittura il 49% di tutti gli eventi di mortalità indotti dall’uomo. Bilanciare la necessità di energia pulita con la conservazione della biodiversità sarà una sfida decisiva nei prossimi decenni. Entro il 2050 possiamo aspettarci un aumento di dieci volte solo della capacità di produzione eolica. Progettare e adottare misure di mitigazione per limitare la pericolosità degli impianti è un imperativo che dobbiamo seguire se non vogliamo avere conseguenze drammatiche per la conservazione degli uccelli migratori.
Utilizzando sofisticati modelli statistici, gli scienziati hanno anche identificato alcuni fattori predisponenti come il gruppo tassonomico o la posizione geografica, per citare i più significativi. Ad esempio, il continente in cui migratori muoiono di più per cause legate all’uomo è l’Africa, dove il bracconaggio è prevalente. Mentre in Europa il 57 % delle morti è legato alle infrastrutture energetiche. O ancora, a morire più spesso per avvelenamento sono gli avvoltoi: solo in Appennino centrale negli ultimi 3 anni sono 36 i grifoni morti per questa causa o per un suo sospetto.
È difficile non restare colpiti dal fatto che nonostante il passare degli anni, la mortalità indotta dall’uomo sembra essere rimasta costantemente elevata. Nessuno dei diversi scenari esplorati attraverso i modelli statistici è infatti riuscito a rilevare alcun cambiamento nella frequenza delle morti negli ultimi 15 anni. In altre parole, 15 anni fa i migratori morivano con la stessa frequenza di oggi. Una possibile spiegazione è che sia le morti naturali che quelle indotte siano variate allo stesso ritmo. Tuttavia, non possiamo escludere che alcune minacce siano state sostituite da altre nel corso degli anni. Un esempio lampante è quello degli incidenti legati alle infrastrutture energetiche, che sembrano essersi intensificati parallelamente alla presunta diminuzione delle uccisioni illegali, come indicato da studi precedenti condotti in Spagna.
Tutte queste informazioni, analizzate da un team di studiosi e organizzazioni internazionali, e raccolte con lo sforzo di altrettanti ricercatori, istituzioni e ONG, non dovrebbero rimanere confinate alla comunità scientifica, ma portate all’attenzione di tutta la società. La conservazione della biodiversità e la protezione degli uccelli migratori non sono solo compiti di scienziati, gestori di aree protette o di organizzazioni ambientaliste, ma una responsabilità che coinvolge tutti.
È giunto il momento di tracciare una nuova rotta e di sostenere azioni tangibili per contrastare i pericoli che minacciano gli uccelli migratori, questi viaggiatori senza confini la cui danza senza tempo attraverso le stagioni ha lasciato un segno indelebile nell’animo umano.
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