Una conversazione a Kranea sul senso del luogo, sull’orso bruno e su ciò che mantiene vivo un villaggio.
Un villaggio che trova te
Kranea Aspropotamou (La Korno in valacco) è uno di quei villaggi che non si cercano davvero su una mappa — è lui che trova te.
Qualcosa ti attira fin lì, una sensazione che qualcosa di prezioso resista ancora, come un sussurro in terre lentamente scivolate nel silenzio. Salendo fino a 1.150 metri, sui pendii del Monte Triggia, nel sud del Pindo, il paesaggio comincia a mutare: case di pietra profumate di legna, cortili pieni di fiori, il mormorio dell’acqua che scorre. Un fondale alpino si apre — abeti torreggianti che sostengono il cielo, circondati dalle vette del Koziakas, sentinelle del popolo e dei suoi segreti.
È qui che siamo stati accolti nella casa della signora Kalypsó Palioú e di suo marito Giorgos Paliós. Insieme custodiscono la memoria di un’altra epoca, unita a una determinazione instancabile nel mantenere vivo il loro villaggio — la sua gente, le sue storie, i suoi sapori, il suo patrimonio immateriale. Dal loro balcone affacciato sulla foresta, abbiamo parlato della vita in montagna, del sapere che rischia di perdersi, dell’orso bruno che si avvicina sempre più ai paesi, e dei modi in cui una comunità cerca oggi di reinventarsi.
La conversazione non sembrava un’intervista: è stata piuttosto come camminare insieme in un paesaggio ospitale — lungo i sentieri del passato, nei cortili un tempo animati, fino al limite del bosco, dove persone e animali selvatici imparano a convivere. Per loro, Kranea non è solo un punto sulla mappa, ma un luogo vivo, con un’anima e un carattere — che cambia, ma resiste. Un luogo che chiede a chi lo ama di reinventarlo continuamente, attraverso feste, racconti, sapori e gesti di reciproca cura.
«Se davvero vi è piaciuto, lo capiremo se tornerete», sorride la signora Kalypsó. Sposa a Kranea da quarantotto anni, ricorda:
«All’inizio, io e Giorgos venivamo solo in visita. Poi abbiamo deciso di mettere radici, di costruire qui la nostra casa.» Ride ricordando la sua prima impressione: «Quella prima salita aveva così tante curve che gli dissi di vendere il terreno. Avevo le vertigini! Ma era durante un’ondata di calore: giù, a Kalambaka, non si respirava dal caldo; qui, invece, dormivamo sotto la coperta. È allora che abbiamo capito che questo sarebbe stato il nostro posto.»
Col tempo, la strada sterrata è diventata asfaltata e il viaggio più agevole. «Per chi sale per la prima volta, la salita sembra infinita. Ma appena vedi gli abeti e respiri l’aria fresca, tutto acquista senso.»
Kranea: un villaggio che ha rifiutato di scomparire
Come tanti altri villaggi della Grecia, Kranea fu rasa al suolo nell’ottobre del 1943 dalla Wehrmacht. Prima della guerra era uno dei centri più grandi del Pindo meridionale: circa 650 case, caseifici, “kesarie” per la lavorazione del formaggio, migliaia di pecore e bovini, uffici amministrativi, stazione di polizia, tribunale e scuola. I bambini frequentavano le lezioni solo in autunno e primavera, poiché d’inverno la neve poteva raggiungere i due metri e mezzo, chiudendo le scuole per mesi.
Dopo la guerra, il villaggio fu ricostruito quasi da zero. Le poche case di pietra sopravvissute vennero restaurate, se ne costruirono di nuove, la piazza fu rinnovata e la scuola riaperta. A metà degli anni ’50 e ’60, Kranea contava appena 50 case abitate — ma i suoi abitanti si rifiutarono di lasciarla svanire.
Negli anni ’90, con l’arrivo dei programmi europei di sviluppo, comparve una nuova — anche se frammentaria — ondata di turismo. Aprirono pensioni, furono restaurati sentieri, valorizzate fontane e ponti di pietra ad arco singolo. Ma quel boom fu spesso affrettato e poco legato alle reali esigenze locali. Alcuni grandi alberghi costruiti allora oggi restano chiusi o in rovina, fantasmi di un’euforia passeggera più che simboli di una pianificazione sostenibile. La tempesta Daniel, che di recente ha distrutto infrastrutture cruciali della zona, ha solo accentuato la fragilità di questo paesaggio montano, lasciando aperta una domanda: che tipo di futuro può davvero sostenere questo luogo?
Saggezza quotidiana e fili di memoria
La signora Kalypsó ricorda con una punta di nostalgia il vecchio mondo pastorale: «Un tempo qui pascolavano migliaia di animali. Le famiglie avevano grandi greggi. Ora non è rimasto quasi nulla.» In effetti, dagli anni ’60, l’urbanizzazione e il cambiamento dei modelli produttivi hanno eroso la pastorizia transumante fino quasi a farla scomparire — anche se i suoi sapori, le sue abitudini e i suoi ricordi continuano a plasmare l’identità dell’Aspropotamos.
Secondo il censimento del 2021, Kranea conta 62 residenti permanenti e, come la maggior parte dei villaggi della regione, si svuota d’inverno. Ma d’estate torna a vivere, ospitando fino a 2.500–3.000 persone — tra abitanti e visitatori. «Le feste di quartiere tornano», racconta la signora Kalypsó. «Dieci, quindici persone attorno a un tavolo, ognuno porta qualcosa da condividere.»
Il villaggio conserva ancora il suo patrimonio culturale: il monastero della Santa Croce, gli antichi rifugi saracatsani, i due ponti di pietra, le fontane tradizionali. All’ingresso, l’“Antico Mulino ad Acqua” oggi ospita mostre, una biblioteca con prestito libri e una sala giochi per bambini.
L’Associazione Culturale di Kranea, una delle più antiche dell’Aspropotamos (fondata nel 1948), organizza numerose attività — dai corsi di danza e laboratori di cucina alle escursioni e al Festival del Corniolo, che si tiene ogni settembre e che quest’anno ha accolto anche Callisto e i membri della Bear-Smart Community. Ogni 1° agosto, il villaggio celebra la vecchia festa dei “Protavgoustia” — fagioli nel paiolo, piatti di magro, musica, tutto gratuito per i visitatori.
Nella piazza, la pensione comunitaria diffonde nell’aria l’aroma di caffè e piatti caldi, mentre la taverna serve ancora la zuppa di fagioli, il trachanas e i formaggi locali. Più in alto, la terrazza “Gorgkatsi” — il balcone di Kranea — vibra di bicchieri che tintinnano e di mezedes casalinghi, punto d’incontro per chi torna e per chi arriva per la prima volta. E poco oltre, la vecchia griglieria LaKorno, segnata dal tempo ma ostinata, resiste ancora sulla curva della “strada principale” dell’Aspropotamos — a ricordare che qui l’ospitalità non è mai stata un mestiere, ma parte dell’anima del villaggio.
Orsi, tempeste e convivenza
Nella piazza di Kranea sorge la statua dell’orso bruno — simbolo del villaggio. Eppure, come spiega la signora Kalypsó: «Negli ultimi anni, gli orsi arrivano fino alle case. Gli animali selvatici devono vivere nel loro spazio. Se trovano cibo nei nostri rifiuti, torneranno. Non dobbiamo lasciare cibo all’aperto. Oggi è un cucciolo; domani, un orso adulto. La paura porta agli incidenti. Chi vive in montagna deve essere informato: questa è terra di orsi, ma anche noi dobbiamo sapere come comportarci.»
La gestione dei rifiuti resta una sfida costante. «In estate, con così tanti visitatori, i cassonetti traboccano e diventano buffet per gli orsi. Il camion della spazzatura passa solo due volte a settimana in estate e una volta a settimana a settembre.» Le soluzioni sono semplici — ma richiedono coordinamento tra comuni e residenti, che devono considerare la gestione dei rifiuti non come una routine, ma come una condizione di salute, sicurezza e convivenza.
Il villaggio porta anche le cicatrici degli eventi estremi. Le tempeste Ianos e Daniel hanno devastato le valli dell’Aspropotamos: frane, strade interrotte, sorgenti prosciugate. «Quando siamo tornati dopo la tempesta, non riconoscevamo più le curve della montagna», dice la signora Kalypsó. «Le ferite sono ancora aperte. Se le strade non vengono riparate, i villaggi si svuoteranno.» Suo marito Giorgos aggiunge: «Dopo le tempeste, nessuno sa più dove scorre l’acqua. C’è un rombo costante in montagna. Le aree rurali hanno bisogno di sostegno, altrimenti la Grecia resterà solo con le grandi città.»
Il sapore di un luogo
La signora Kalypsó parla del cibo come se aprisse armadi pieni di memoria:
- Liquore di corniolo: “Frutti maturi, cognac e zucchero in parti uguali. Lasciare al sole fino a dicembre. Il segreto è che deve profumare di frutta.”
- Marmellata di corniolo: bilanciata con un paio di mele dolci per ammorbidire l’asprezza.
- Trota dell’Aspropotamos: fritta nel burro fresco con farina di mais — “è allora che sprigiona il suo sapore migliore.”
- Torte valacche: con ortiche, spinaci, latte e trachanas — sempre con burro, mai con olio.
- Kousiafia: frutta essiccata, conservata in sacchetti di lana per le composte invernali.
- Dolci tradizionali: baklava, melahrini, kourabiedes — tutti a base di burro, per scaldare l’inverno come facevano le vecchie stufe a legna.
Ogni ricetta, dice, non è solo cibo, ma un frammento di storia.
Guardando avanti
Alla fine, la signora Kalypsó si fa silenziosa, lo sguardo perso nel bosco. La sua voce si addolcisce: «Dobbiamo provarci tutti insieme — comunità, comune, Stato, gente semplice e visitatori estivi — per lasciare qualcosa di meglio ai nostri figli e nipoti. Per ricostruire le nostre comunità dalle fondamenta. Perché il nostro villaggio non resti vivo solo nelle fotografie.»
Ricorda le vecchie feste, le cooperative scomparse, i chioschi di legno marciti, le greggi che quest’estate non sono salite in montagna. «Non voglio vedere tutto questo scomparire. Voglio che i nostri figli amino questa terra, che vogliano tornare — non solo per le vacanze, ma per vivere, prendersene cura, costruire.»
Uscendo nel cortile, settembre porta già il profumo dell’autunno. Tra gli abeti verde scuro cominciano a spuntare pennellate di giallo e arancione. «Un dipinto», dice la signora Kalypsó. E noi concordiamo: finché ci saranno persone che si prendono cura della loro terra, della fauna selvatica e l’una dell’altra, ci sarà sempre un cammino verso la convivenza. E un motivo per tornare.
L’intervista è stata condotta da Dr. Giorgos Chatzinakos nel settembre 2025 a Kranea, nell’ambito del progetto LIFE Bear-Smart Corridors e delle attività della Bear-Smart Community, coordinate dall’ONG ambientale Callisto.
Un sentito ringraziamento alla signora Kalypsó Palioú e al signor Giorgos Paliós, che ci hanno aperto non solo la loro casa, ma anche il loro mondo. Nelle loro parole abbiamo trovato il filo che unisce memoria, luogo e persone. Un grazie anche agli abitanti di Kranea, che ci hanno accolto come vecchi amici, permettendoci di sentirci — anche solo per un momento — parte di un luogo che continua a vivere e a resistere al passare del tempo.



